Meno male che c'è Marco Bellocchio. E non solo perché il suo cinema ci è sempre piaciuto, non perché gli autori con la A maiuscola, ormai, si contando sulle dita di una mano (anche se i soliti noti continuano a parlare di un “cinema italiano fiorente più che mai”...) e non perché "Bella addormentata" è un film necessario, ma soprattutto perché solo lui poteva raccontare uno dei momenti più vergognosi della storia italiana recente (beh, certo, c'è l'imbarazzo della scelta...) con il giusto equilibrio e la giusta distanza ma anche senza perdere di vista un attimo l'obiettivo. E come si fa a raccontare in modo equilibrato la vicenda di un uomo che, dopo 17 anni di strazio e totale dedizione, decide di liberare la figlia che ama più di ogni altra cosa al mondo e, per questo, viene chiamato “assassino”, oppure “padre assente ed egoista” ( chi vuole rinfrescarsi la memoria, e farsi venire un'ulcera, clicchi qui) dai consueti crociati della moralità altrui?
"Bella Addormentata" ci insegna che è possibile. Il 9 febbraio 2009 Eluana Englaro muore nella clinica La Quiete di Udine dopo 17 anni di coma e su richiesta dei genitori di sospendere l'alimentazione forzata. Prima e dopo questo doloroso evento, i media italiani si sono trasformati in una passerella per una vergognosa bagarre in cui chiunque diceva la sua e dove il buon senso era diventata merce rara. Dimostrando sensibilità ed intelligenza, Bellocchio gira al largo da tale palude e costruisce una storia (anzi, varie storie) autonoma che si sviluppa, però, sullo sfondo di tale bagarre. Certo, qualche concessione alla cronaca c'è e, a sentire Berlusconi che ci ricorda come “Eluana possa ancora avere un bambino”, torna alla mente la famosa “bestemmia spirituale” di "L'ora di religione", ma l'indignazione finisce qui; il viaggio, per fortuna, ci porta altrove. Marco Bellocchio, autore anche del soggetto, capisce che per raccontare davvero fino in fondo una storia come questa, occorre distanziarsi da quelle “immagini” che uno dei suoi protagonisti (Tony Servillo) ha finito per odiare. Occorre lasciare sullo sfondo questa Italia “cinica e depressa” in cui “non si governa senza il Vaticano” e che il senatore/psichiatra Roberto Herlitzka, non potendo curarne la coscienza, tampona a forza di “farmaci leggeri” e “regolatori dell'umore”, per concentrarsi, invece, sui rapporti personali, sull'interiorità di un gruppo di persone che, per motivi diversi, vengono chiamati a fare una scelta. Un'attrice di successo si ritira dalle scene per dedicarsi completamente alla figlia in coma, dimenticandosi che l'altro figlio è vivo e ha bisogno del suo affetto; un senatore che ha aiutato la moglie malata a morire è chiamato a votare una legge ingiusta per continuare la sua carriera politica; un medico si appassiona al caso senza speranza di una ragazza tossica nella quale si identifica e, infine, la storia forse più rappresentativa: due giovani (lei contro e lui pro eutanasia) si innamorano ma non possono stare insieme perché (pare...) lui ha un fratello psicotico al quale ha dedicato la sua vita.
Responsabilità e Libera Scelta, sono questi i due temi cardine su cui ruota la delicata e coraggiosa costruzione narrativa di "Bella Addormentata", un film che, con uno stile asciutto e a tratti onirico (quasi felliniane le sequenze nella sauna), nonostante qualche inevitabile passaggio didascalico, non ha nessuna pretesa didattica, non fornisce risposte ma, al contrario, alimenta dubbi ed intime riflessioni (non è questo, in fondo, che chiediamo all'Arte?): cosa siamo disposti a perdere per amore? Fino a che punto abbiamo la maturità di capire quando stiamo usando una persona? E, soprattutto, quando, dietro privazione e rinuncia si nasconde solo e soltanto la paura di affrontare la realtà? Meno male che c'è Bellocchio.
VOTO: 8
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