Nel mondo del cinema non tutti i registi diventano “autori di genere” nello stesso modo. C’è chi, infatti, approda al nostro genere preferito per puro caso (John Carpenter), chi decide di fare horror dopo un’attenta indagine di mercato (Sam Raimi), oppure ci sono quelli che il cinema fantastico ce l’hanno nel sangue e decidono di metterlo in scena perché sono consapevoli delle possibilità espressive che esso è in grado di regalare loro. Guillermo Del Toro fa parte di questa ultima categoria e i suoi film ce lo dimostrano, sempre di più. Il labirinto del fauno, ad oggi il capolavoro del regista messicano, si propone come il capitolo centrale di una trilogia dedicata alla storia di Spagna, iniziata con La spina del diavolo e che si concluderà con l’imminente 3993. Del Toro, utilizzando al meglio le potenzialità simboliche e metaforiche insite da sempre nel cinema fantastico, racconta così gli effetti della dittatura fascista di Francisco Franco sulla nazione iberica partendo dalla Guerra Civile per poi terminare nella Spagna post-franchista degli anni 90 (3993 di cui non si conosce ancora la trama ma solo che sarà contraddistinto da un clamoroso colpo di scena finale). Il labirinto del fauno è ambientato nel 1944, alla fine della Guerra Civile. Carmen (Ariana Gil), dopo essere rimasta vedova, si trasferisce a vivere, insieme alla figlia Ofélia (Ivana Baquero) nella casa del nuovo marito il Capitano Vidal (Sergi Lopéz), un ferocissimo soldato al soldo di Francisco Franco. La piccola Ofélia dimostra da subito di soffrire molto la nuova vita in compagnia del cattivissimo militare e così, trova rifugio in un antico labirinto costruito nella foresta attigua alla casa di famiglia. Durante il suo peregrinare all’interno del labirinto, la piccola incontra Pan (Doug Jones), una magica creatura che da tempo immemore fa la guardia al sacro labirinto. Pan le rivela che lei stessa è la reincarnazione della loro principessa scomparsa ormai da anni e che, per scoprire la verità sul suo destino, dovrà superare tre difficili prove. C’è della magia nell’ultimo film di Del Toro; non capita spesso di essere coinvolti in una storia con tale trasporto e ispirazione da trovarsi, alla fine, con gli occhi lucidi e il cuore pieno di gratitudine per chi, ancora, riesce a farci provare simili emozioni. Intendiamoci, non stiamo parlando solo della semplice immedesimazione figlia di un uso sapiente della colonna sonora (meravigliose le musiche di Javier Navarrete), di un ottima prova attoriale complessiva, di una sceneggiatura toccante e matura (scritta dallo stesso Del Toro) e di una fotografia pittorica ed avvolgente (Guillermo Navarro), c’è qualcosa in più. Un valore aggiunto dato dall’alchemica sincerità di una cinema di e per i “puri di cuore”. Il labirinto del fauno, storia politica senza mai essere didascalica, è un film crudele e affascinante, triste e passionale, come solo le grandi fiabe sono in grado di essere. Ma perdersi nel labirinto di Pan, non è un privilegio riservato a tutti. Ed è giusto che sia così.
NON SOLO FANTASY
Molto del materiale promozionale dedicato al lancio del film, è stato pensato utilizzando lo straordinario universo fantastico che ha preso vita grazie al talento dello scenografo Eugenio Caballero e agli strabilianti effetti speciali e di make up realizzati dal Laboratorio Efectos Especiales di David Marti. Ma il vero centro nevralgico di Il labirinto del fauno è costituito dall’elemento umano: i personaggi inventati da Del Toro sono vivi, espressivi e profondamente “umani”. Anche per questo motivo il film è una fiaba nera per adulti molto più vicina allo stile dei fratelli Grimm, piuttosto che al mondo fatato, ma innocuo, di Walt Disney. Attraverso lo sguardo della piccola protagonista Ofelia, il regista messicano, lucidamente, ci mostra come appare il mondo agli occhi di un bambino: affascinante e pieno di magia, ma anche oscuro e profondamente ostile. Al fascino ambiguo del fauno Pan, si oppone l’inquietante minaccia portata da Pale Man, orco lattiginoso mangia-bambini che, però, scompare di fronte alla ferocia reale del Capitano Vidal, il vero “mostro” del film.
VOTO 10
© Paolo Zelati - All rights reserved
Credits | Privacy Policy