Interviste
Mi racconti come la tua esperienza di lavoro alla Filmax?
Alla Filmax si lavora molto e bene; ovviamente io ti posso parlare della mia esperienza, dei film che ho fatto io, ma credo che i metodi produttivi siano gli stessi per tutti i registi coinvolti nella Factory. Spesso si finanziano i film utilizzando i proventi delle vendite internazionali, cioè il denaro guadagnato dalle vendite e prevendite nei mercati internazionali come quello di Cannes. La cosa importante, però, è che alla Filmax amano davvero il genere fantastico, non lo fanno solo per soldi. Con la Filmax ho sempre potuto scegliere liberamente le sceneggiature che più mi piacevano ed inoltre non ho mai ricevuto nessuna intromissione nella realizzazione artistica dei miei film
Parlami del tuo primo film “Nameless”: come è nato il progetto?
Il film è tratto da un romanzo inglese di Ramsey Campbell , una storia che mi aveva sempre affascinato e che quindi ho deciso di adattare per lo schermo. La prima volta che l’ho letto sono rimasto scioccato e ho subito pensato che ne sarebbe venuto fuori un ottimo film. La storia è veramente incredibile; pensare ad una madre che perde una figlia e, cinque anni dopo, riceve una sua telefonata mi ha toccato profondamente: durante l’adattamento del romanzo per il cinema abbiamo cambiato diverse cose, ma non questo passaggio fondamentale. Avevo bisogno di fare un film così.
Secondo te nel cinema dell’orrore è meglio mostrare o suggerire per colpire l’immaginazione del pubblico?
Entrambe le cose sono valide secondo me, dipende solo dalla storia che devi raccontare. Film come Non aprite quella porta mostrano l’orrore e funzionano, altri registi scelgono un approccio meno diretto e più psicologico ma ottengono lo stesso degli ottimi risultati. Personalmente mi diverto a giocare con il pubblico: quando lo spettatore si aspetta una cosa soft allora mi piace mostrare l’orrore, mentre quando crede che sia arrivato il momento di vedere “il mostro”, al contrario, lo tengo celato.
“Fragile” è il film in cui tu mostri di più, soprattutto nella parte finale quando il fantasma si rivela nella sua vera forma…
Sì, è vero, in Fragile ho dovuto, ad un certo punto, mostrare il fantasma perché era una necessità legata all’intreccio narrativo: la storia aveva bisogno di questa rivelazione. Inoltre, nel film, il fantasma può essere visto solo da coloro che sono vicina alla morte, per cui era necessario mostrarlo graficamente anche per rendere più chiaro lo sviluppo della storia.
Toglimi una curiosità: tu conosci il video realizzato da Marylin Manson per la canzone “Beautiful People”? Te lo chiedo perché la caratterizzazione del fantasma Charlotte ha molto in comune con quel video…
Sì, lo conosco e ti dico anche che non è una coincidenza questa somiglianza che hai sottolineato, anche se per la caratterizzazione di Charlotte non mi sono basato solo su quel video. Comunque, in generale, uno trae ispirazione dalle cose che ama e io amo tutti i video di Marilyn Manson.
Parlami della tua esperienza con la Miramax per la realizzazione di “Darkness”, che differenze hai trovato nel lavorare con gli americani e con un budget decisamente più elevato?
Sicuramente ci sono state delle differenze. Per me è stato abbastanza difficile lavorare con la Miramax anche perché a livello organizzativo ho avuto dei problemi. Lo dimostra il fatto che dopo l’uscita europea, sono passati due anni prima che il film potesse uscire negli Stati Uniti e ancora oggi non ho capito perché.
Hai avuto delle pressioni sulla realizzazione artistica del film o hai avuto il director’s cut?
Ho avuto diverse pressioni durante la lavorazioni e, nonostante io abbia avuto la director’s cut sulla versione europea, per la versione uscita in America ho dovuto accettare diverse modifiche. Hanno tagliato al film qualcosa come 12 minuti e io mi sono sempre rifiutato di vedere la loro versione!
Tornerai a lavorare con gli americani o preferisci fare delle cose più modeste (a livello di budget) ma magari più personali?
Duranti gli ultimi anni mi sono arrivate numerose offerte dall’America, offerte che io ho sempre rifiutato perché erano storie che non mi piacevano, ma se mi arriveranno delle offerte interessanti non avrò alcun problema ad accettare.
Quali sono i film horror che ti hanno più colpito e che ti hanno più influenzato?
Sicuramente The Other di Robert Mulligan, un film straordinario, poi The Changeling, Rosemary’s Baby, Shining e Hellraiser di Clive Barker, un film originale e spaventoso.
E cosa ti piace parlando di horror italiano?
Tutto! Amo Fulci, Argento, Joe D’Amato, Mario e Lamberto Bava, i gialli di Sergio Martino, i cannibalici di Lenzi e Deodato…il cinema italiano mi ha formato in modo incredibile durante l’adolescenza. Credo di essere diventato un regista dell’orrore anche grazie a tutti i film italiani che ho visto da giovane.
E se dovessi chiederti i tuoi film preferiti?
Sicuramente Suspiria e Profondo Rosso di Dario Argento e Quella villa accanto al cimitero di Fulci.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Ora sto ultimando la postproduzione di un film per la tv spagnola, ispirato ad una serie ideata da Serrador e che si chiama Storie per non dormire. Praticamente ne abbiamo realizzato una versione moderna divisa in sei storie dirette da altrettanti registi come Serrador, Alex De La Iglesia e Paco Plaza.
Cosa pensi del cinema del tuo connazionale Aleandro Amenabar?
Mi piace molto anche se non tutto: ho amato molto The Others e Tesis ma non mi è piaciuto Apri gli occhi.
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