15 ottobre 1981, Redford Theatre di Detroit. Mentre lussuose limousine fanno scendere agghindati passeggeri, fasci di luce solcano il cielo del Michigan annunciando la premiere di un nuovo film. La galleria del cinema è piena di rumorosi teenager e, dietro al palco, un gigantesco organo suona le note di “Toccata e Fuga” di Bach. Fuori dall’entrata principale, tre nervosissimi ragazzi in Smoking stanno salutando amici e parenti. Ad un certo punto le tende di velluto rosso si aprono, le luci si spengono ed il pubblico applaude eccitato: è la prima mondiale di Book of the Dead (che presto verrà rinominato The Evil Dead) e i tre ragazzi si chiamano Sam Raimi, Bruce Campbell e Ron Tapert, nomi destinati ad entrare nella storia del cinema horror di tutti i tempi. Sullo schermo scorrono le immagini di cinque teenager (due ragazzi e tre ragazze) che si recano a passare un week-end in una baita isolata in mezzo ai boschi. Arrivati a destinazione, i ragazzi scoprono uno strano libro ed un’ audio cassetta sulla quale è registrata la voce di un misterioso professore. Quello che i giovani non sanno è che la voce incisa sul nastro sta declamando antiche formule sumere atte a risvegliare pericolosissimi demoni, i quali ben presto si manifestano, impossessandosi, uno dopo l’altro, dei corpi dei giovani amici. L’unico modo di liberarsi del pericolo è lo smembramento dei malcapitati. Alla fine solo Ash (Bruce Campbell) rimane in vita, ma proprio mentre sta lasciando la baita infernale, viene attaccato da un forza invisibile che lo sovrasta.
Questa la trama, non certo originale, di un film che ha contribuito a fissare i canoni del “nuovo cinema splatter”, un genere che, negli anni successivi, avrebbe invaso gli schermi di mezzo mondo con abbondanti dosi di sangue e frattaglie. Un cinema fisico e profondamente catartico, che mette il corpo umano (mutazione, malattia, morte e degenerazione) al centro della sua indagine, ricorrendo ad un procedimento narrativo diametralmente opposto al ValLewtoniano “suggerimento della paura”. Durante gli anno 80, infatti, l’orrore non è più suggerito tramite ombre e rumori come in Il bacio della pantera, ma mostrato, in piena luce, dritto davanti agli occhi spalancati dello spettatore. Uno spettatore al quale Sam Raimi non risparmia proprio niente e, mutuando quello stile “cartoon” che diventerà più esplicito ed invasivo nei due sequel, si esibisce in una vera e propria orgia di mutazioni, smembramenti e liquefazioni varie, rese possibili dal talento e dalla creatività di Tom Sullivan, tecnico di effetti speciali che già aveva lavorato con Raimi sul set di It’s Murder!. Proprio l’insuccesso commerciale della commedia thriller It’s Murder! convince Raimi e soci a puntare sul cinema horror, un genere non molto amato dal regista di Spiderman che ha dichiarato: “All’epoca i film horror mi facevano paura, era un’esperienza spiacevole essere spaventati, ma dopo aver girato La casa ho cominciato ad apprezzare i grandi classici del genere” (citazione contenuta nel bel libro di Bill Warren “The Evil Dead Companion”). Raimi e Tapert, nel 1978 si recano a vedere il successo del momento, un piccolo film indipendente chiamato Halloween: la reazione del pubblico li convince a prendere seriamente in considerazione l’ipotesi di un film dell’orrore. Così la coppia, insieme al fido Bruce Campbell, si mette ad analizzare in modo scientifico (con grafici e diagrammi) la produzione horror degli ultimi anni, cercando di capire cosa abbia colpito l’interesse del pubblico. Dopo aver visionato un incredibile numero di videocassette e di spettacoli al Drive In, i tre arrivano ad individuare tre prototipi simili ai quali ispirarsi: La notte dei morti viventi di George Romero, Non aprite quella porta di Tobe Hooper e Le colline hanno gli occhi di Wes Craven. In tutti i casi si tratta di trame simili, molto semplici e dirette, con attori semi sconosciuti e, cosa più importante, tutti i registi erano esordienti o quasi. Così mentre Raimi pensa alla trama (ispirandosi all’ egiziano Libro dei morti, alla religione sumera e al Necronomicon di Lovecraft), Tapert comincia a cercare i fondi necessari alla realizzazione del film. Nel settembre del 1979, per convincere gli eventuali investitori, i tre ragazzi (con la partecipazione di Ellen Sandweiss) realizzano Within the Woods, un mediometraggio in 8 mm che consente loro di sperimentare tutte le tecniche (compresa la famosa steadycam legata al corpo, così importante nella cifra stilistica di La casa nel rappresentare le soggettive dei demoni) che utilizzeranno poi nel film.
Una volta fondata la Renaissance Picures, e compiuto un rapido casting, i nostri eroi si recano nel Tennessee per le riprese: è novembre, il freddo è pungente e la baita affidata loro dalla Tennessee Film Commission è umida e abbandonata. Come se non bastasse, i soldi recuperati sono la metà del previsto e gli attori si devono pure scavare da soli un buco nel pavimento che serva da cantina. Il 23 dicembre, dopo sei settimane di duro lavoro, il gruppo torna a casa, senza soldi e con il 30 % del film da completare. Miracolosamente Raimi riesce a racimolare i soldi necessari a girare alcune sequenze aggiuntive e ad aggiungere nuovi particolari agli effetti speciali per poi ingaggiare una montatrice esperta come Edna Paul, aiutata da un giovane assistente chiamato Joel Coen. Il film è terminato ma, nonostante la calorosa accoglienza del pubblico in occasione della prima di Detroit, The Book of the Dead non trova distributori interessati all’acquisto. Perlomeno fino a quando un uomo saggio e lungimirante chiamato Irvin Shapiro mette la banda Raimi sotto contratto; l’unica sua condizione è cambiare il titolo del film che infatti diventa The Evil Dead…il resto è storia.
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