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Paolo Zelati

Recensioni

SEED OF CHUCKY

Recensione pubblicata su Horror Mania , Marzo 2004

Se siete tra quelli che pensano che La sposa Chucky sia il capitolo più divertente e riuscito di tutta la saga de La bambola assassina, aspettate di vedere Seed of Chucky. Il quinto capitolo della saga del diabolico Chucky raggiunge infatti le sue vette migliori in termini di black humor e ammiccamenti meta-cinematografici, prendendo di mira lo Star System hollywoodiano e (seguendo il trend Williamson / Craven) i cliché del genere horror. Eppure l’umorismo dissacrante e l’auto parodia sono elementi relativamente nuovi per la saga del simpaticissimo serial killer plastificato, il quale (nonostante le sue gesta siano sempre state accompagnate da un alone di grottesco) fino al terzo capitolo si è dimostrato cattivo e sanguinario e decisamente poco (auto) ironico.

La saga scritta da Don Mancini (che ha come antenati ed ispiratori illustri il guerriero Zuni di Trilogia del terrore e la bambola Talky Tina dell’episodio The Living Doll della mitica serie di Ai confini della realtà) comincia nel 1988, quando Tom Holland realizza La bambola assassina nel quale il killer psicopatico Charles Lee Ray viene ucciso dalla polizia durante un inseguimento e, grazie alle sue arti magiche, riesce a trasferire la sua anima all’interno di una bambola della linea “Good Guy Doll”. La bambola in questione viene regalata ad un ragazzino di nome Andy Barkley, il quale non ci mette molto a scoprire il segreto che contiene. Lee Ray, infatti, ha un solo scopo: quello di entrare nel corpo del ragazzino e tornare così a sembianze umane; nonostante i suoi sforzi il film finisce senza che abbia raggiunto il suo scopo. Ci riprova nel 1990 quando John Lafia dirige il dignitoso La bambola assassina 2: Chucky viene raccolto in un bidone dell’immondizia e riparato (plausibilissimo!), raggiunge l’amico Andy e ne massacra la nuova famiglia adottiva, prima di essere, però, nuovamente distrutto. La bambola assassina 3, peggiore film della serie diretto nel 1991 da Jack Bender, si svolge otto anni dopo gli ultimi avvenimenti: la Play Pals Toy Company decide di rimettere sul mercato il modello “Good Guy” e così anche Chucky riprende vita. Andy ormai è un’adolescente e tenta di salvare l’anima al piccolo Tyler, la nuova vittima nelle mani del perfido pupazzo; dopo risibili e noiose vicissitudini il classico finale vede Chucky andare, per l’ennesima volta, in mille pezzi. E così arriviamo al 1998 e al film della svolta diretto da Ronny Yu, La sposa di Chucky: dopo l’infausto esito sia artistico che commerciale del terzo capitolo (che fu anche follemente accusato in Gran Bretagna di essere stato l’ispiratore dei baby killer del piccolo Jamie Bulger) Don Mancini e il produttore di tutta la serie David Kirschner decidono di puntare sulla black comedy e sull’autoreferenzialità alla Scream ribaltando così a loro favore perfino l’assurdità del plot iniziale che stava cominciando a perdere smalto. Il film introduce il personaggio di Tiffany (Jennifer Tilly), ovvero la donna di Charles Lee Ray che cerca di aiutare l’amato nella sua voglia di reincarnazione. Le cose però non vanno per il dovuto e l’anima di Tiffany viene anch’essa intrappolata in un corpo di bambola (tra le sequenze da ricordare la gigantesca scena di sesso tra i due pupazzi).

Seed of Chucky inizia proprio dove terminava La sposa, ovverosia dalla nascita (o meglio, dal concepimento rappresentato nell’incredibile sigla iniziale) del figlio. Shitface (così è soprannominato il pargolo) vive tristemente in una Londra dickensiana dove viene costretto ad esibirsi in una specie di circo da un crudele ventriloquo. Deciso a scoprire l’identità dei suoi genitori, il pupazzo scappa e raggiunge Hollywood dove le bambole inanimate di Chucky e Tiffany sono impiegati dalla produzione di un ennesimo fiacco sequel della saga di Child’s Play intitolato Chucky Goes Psycho, interpretato da Jennifer Tilly (che interpreta sé stessa) e diretto dal rapper regista Redman (anche lui nel ruolo di sé stesso). Ben presto Shitface, che in omaggio ad Ed Wood e ad una identità sessuale incerta (il suo corpo di plastica non è anatomicamente completo) viene chiamato alternativamente dai suoi genitori Glen o Glenda, riesce a rianimare i suoi genitori che cominciano a dedicarsi al loro passatempo preferito: l’omicidio. Il piano, inoltre, è quello di rapire Redman e la Tilly, ingravidare quest’ultima con il seme di Chucky (che per ottenerlo si masturba leggendo “Fangoria”!) per poi reincarnarsi tutti e tre in corpi umani. Molto più efficace di Nightmare – Nuovo Incubo, Seed of Chucky porta l’ (auto)analisi del genere a dei risultati estremamente feroci e dissacranti e aumenta in modo esponenziale la dose di umorismo “camp” già presente in La sposa di Chucky. Da applausi la performance della Tilly che gioca incessantemente sulla distruzione dell’immagine di attrice che da Bound in avanti le è stata cucita addosso e ottimo anche il personaggio di Redman nella sua parodia dell’invasato Mel Gibson. Contemporaneamente analisi lucidissima e crudele sulla famiglia disfunzionale e parodia del classico dramma famigliare hollywoodiano, il film di Don Mancini non risparmia nemmeno gustosissimi omicidi ultragore (grazie a Tony Gardner che nel film si ritaglia una morte per decapitazione) che faranno la gioia di chi non ama troppo la computer graphic. L’abilità di Don Mancini dietro alla macchina da presa (all’esordio) non è paragonabile a quella di Ronny Yu, ma Mancini conosce e ama più di chiunque altro i suoi personaggi e questo gli consente di dare al film quel valore aggiunto che pesa come un macigno sul sublime esito finale. Seed Of Chucky è politicamente scorretto, incredibilmente divertente e si prende gioco di tutti e di tutto compresi personaggi del calibro di Martha Stewart e Julia Roberts (impagabile poi la scena in cui Chucky – utilizzando la voce del fido Brad Dourif - ammazza Britney Spears dicendo: “Oops I did it again!”) regalandoci citazioni memorabili da Shining, Rosemary’s Baby e perfino Gioventù bruciata. A fare da garante alla migliore commedia horror-camp dai tempi di L’armata delle tenebre il cammeo di un brillante John Waters nella parte di un paparazzo da tabloid (“God Bless the little People”!) che viene ucciso da Glen/Glenda con una secchiata di acido in faccia.

VOTO: 7

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