Interviste
Parlami dei tuoi primi passi nel mondo dello spettacolo e delle opere che più ti hanno spinto ad intraprendere questo mestiere.
Credo che il mio primo approccio al mondo dello spettacolo sia stato attraverso la Radio: io vivevo in campagna e ascoltare la radio, un medium grazie al quale devi inventare tutto, mi ha aiutato a sviluppare l’immaginazione. Inoltre, dato che fino a 12 anni non ho avuto la televisione, leggevo molto, soprattutto le fiabe de fratelli Grimm e la Bibbia, un libro con delle grandi storie! Il primo film visto al cinema che mi ricordi è Biancaneve e i sette nani, mentre la prima pellicola che mi ha spaventato a morte è stata Il ladro di Bagdad di Michael Powell: non ho dormito per una settimana. Questo film ha avuto un grande effetto su di me! Mi ricordo che ho passato interi pomeriggi a fingere di combattere un ragno gigante!
E poi come hai cominciato a lavorare nel cinema?
E’ successo gradatamente da quando con la mia famiglia mi sono trasferito a vivere in California. Lì vicino c’era Hollywood e allora ho cominciato a pensare di lavorare nel mondo del cinema, anche se non avevo la minima idea di come fare dato che non volevo essere ingabbiato in un “sistema”…così ho cominciato a disegnare fumetti in modo da avere il completo controllo sulle mie creazioni. Un giorno, quando lavoravo a New York, conobbi Terry Jones e diventammo amici; così, qualche anno dopo, quando tornai in Inghilterra Terry mi fece entrare nel mondo della televisione. Io, lui ed Eric Idle lavoravamo per uno show dedicato ai ragazzi in cui io continuavo a disegnare cartoni: quello fu l’inizio dei Monty Python con i quali cominciai a scrivere e ad interpretare uno show televisivo. Il successo dello show (Flying Circus, n.d.r.) ci consentì di passare al cinema e così divenni quello che avevo sempre sognato: un regista.
Con il “Flying Circus” avete cambiato la storia della televisione e l’approccio del pubblico verso la commedia. All’epoca eravate consci di quello che stavate facendo?
In realtà noi eravamo semplicemente contenti di aver un lavoro e di poter fare ciò che volevamo. Per quanto riguardo il resto penso che tutto sia nato da un desiderio molto pragmatico: all’epoca c’erano talmente tanti show che proponevano lo stesso schema narrativo della battuta finale che noi volevamo offrire qualcosa di nuovo, anche perché, il più delle volte, la trovata finale faceva schifo. Così abbiamo pensato di togliere la fine dello sketch e di concepire una sorta di stream of consciusness e di combinare il tutto con le mie creazioni animate: il pubblico rimase inizialmente confuso da tutto ciò, però, una volta trovato il pubblico giusto, le cose sono andate bene. Comunque, per rispondere alla tua domanda, devo dire che non c’era un vero progetto dietro a tutto questo: ci faceva ridere e così l’abbiamo fatto.
Parlami di “L’esercito delle 12 scimmie” e di “Brazil” i tuoi film più manifestamente inseribili nel genere di Fantascienza.
Quando mi hanno offerto il copione di L’esercito delle 12 scimmie mi è sembrato subito un film eccezionale, intelligente e molto difficile da realizzare, poi mi sembrava un’ottima occasione per infiltrarmi nel sistema dei grandi studio. L’idea è veramente geniale anche se il pubblico fatica molto ad accettare che 5 miliardi di persone siano destinate a morire, anche se poi c’è una sorta di happy end. Il film, nonostante le difficoltà, è stato un grande successo commerciale e quando si riesce a sfondare con un film così complesso, ciò serve come incoraggiamento per altri registi che vogliono portare avanti dei progetti bizzarri. Brazil invece è stato per me una sorta di catarsi: ero talmente disgustato dalla società contemporanea che ho voluto liberarmene, in qualche modo. Sicuramente è un film politico e uno sguardo molto attento ai mali della società e, paradossalmente, è più attuale ora che quando l’ho realizzato! Ultimamente vado in giro a dire che voglio citare George Bush per aver fatto un illegale e non autorizzato remake di Brazil! E’ incredibile come l’America abbia bisogno dei terroristi per giustificare l’immenso budget che spende nella Difesa…ciò era vero allora e lo è ancora oggi, in modo molto più trasparente. Gli effetti del cinema sulla società (e il contrario) mi hanno sempre incuriosito: pensa che Ronald Reagan ha costruito il Sistema Missilistico noto come Star Wars perché aveva visto i film! Inoltre mi hanno raccontato che alla Central Station di New York, ogni ultimo dell’anno, un’orchestra suona nella Hall e la gente balla: nessuno ci aveva mai pensato prima che facessi La leggenda del Re Pescatore. I film hanno sempre un grosso dialogo con la realtà ed è per questo che non amo fare film molto violenti, penso che ci sia abbastanza violenza nella vita reale. Io aspiro a fare cose diverse.
C’è un aspetto di “Brazil” che io trovo molto vicino alla realtà americana degli anni 80: l’ossessione per la chirurgia plastica. Me ne parli?
In quel periodo vivevo a Los Angeles e i giornali erano solo pieni di annunci pubblicitari inneggianti alla chirurgia plastica. Poi, se andavi in un ristorante, vedevi tutte queste signore di 70 anni tirate in viso come una ragazzina di 18! E la cosa peggiore era che, dato che sembravano ragazze, si comportavano anche da ragazze giovani! Follia pura. Io sono ossessionato da questo tipo di vanità; forse è per questo che utilizzo attori belli e poi li imbruttisco con il trucco: voglio eliminare la vanità dallo schermo! (ride)
Questa tua ultima annotazione mi costringe a chiederti di raccontarmi quali sono stati i problemi che hai avuto con i Weinstein sul set di “I Fratelli Grimm” e, soprattutto, come sarebbe stata la tua versione “completa” del film?
Lo script originale di I fratelli Grimm era concepito come quello di un film basato solo sugli effetti speciali come La mummia, tutto era completamente prevedibile. Io avevo accettato comunque perché era tanto che non lavoravo e stavo impazzendo…però ho lavorato molto e l’ho praticamente riscritto. Poi successe che io e i produttori, i fratelli Weinstein che volevan interferire con il mio lavoro creativo, abbiamo litigato pesantemente all’inizio delle riprese: ciò ha distrutto il mio entusiasmo. Alla fine dei conti, non ho cambiato niente rispetto alla mia sceneggiatura, però non lavorato con la mia solita energia ed entusiasmo: per questo dico che il film sarebbe riuscito meglio in altre condizioni. Il momento peggiore è arrivato quando la produzione ha licenziato Nicola Pecorini, direttore della fotografia e uomo più importante della mia squadra. Pensa che all’inizio della produzione, erano pronti a bloccare le riprese se non avessi tolto a Matt Damon il naso finto che avevo deciso di mettergli…comunque non potevo piantare tutto e andarmene: molta gente dipendeva da me per il loro lavoro.
Parliamo di religione: insieme ai Monty Python tu hai realizzato un film che parla della religione in un modo che definirei geniale (Brian di Nazareth, n.d.r.), cosa pensi del modo in cui Hollywood parla di religione oggi con film come “The Passion”?
La cosa interessante di The Passion è che Mel Gibson lo ha fatto utilizzando i propri soldi; tutti quanti ad Hollywood lo prendevano in giro: un film in latino ed aramaico?! Quell’uomo è un pazzo! Poi il film ha avuto successo e devo anche ammettere che c’è stata sincerità da parte di Gibson: quella rappresentata è la sua Passione personale. Il problema vero è che al film manca completamente l’elemento spirituale, è tutto un discorso fisico, brutale e sadomasochistico; è molto simile a Rocky e Gesù è trattato come un pugile. Penso che sia una delle cose più bizzarre che abbia mai visto e la cosa che non capisco è come questo film possa avere avuto il supporto di parte della comunità cristiana.
Un domanda su “Tideland”: hai chiesto a Jeff Bridges di riportare in vita il suo famoso Drugo di “Il grande Leboski”?
No, non gli ho mai fatto una richiesta così esplicita, anzi facevamo degli scherzi dicendo: “Il Drugo è morto!”. Tutti amano il Drugo e quello che mi faceva ridere girando il film era pensare che il mio personaggio potesse essere una continuazione di Drugo, qualcosa del tipo: “il Drugo ha smesso di essere cool ed è diventato un drogato”.
Una definizione di Terry Gilliam da parte dei sui fan potrebbe essere “il crociato dell’immaginazione in un mondo governato da sequel e remake”, come ti pare?
Mi piace molto! E’ proprio quello che cerco di fare, tento di aprire nuove porte rispetto a chi ripete sempre le stesse cose e “gioca sul sicuro”. Magari, in quel modo, si possono fare tanti soldi, ma la mia visione della vita è diversa, il mondo ha bisogno di gente che osa. Io dico alla gente: “Coraggio, scappa con me!”, però poi, nei miei film una vera via di fuga non esiste: la gente viene ricacciata indietro! (ride)
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