Ma quanto è bravo Rob Zombie! Giunto al suo secondo film, il cantante leader dei White Zombie si dimostra uno dei nomi più interessanti all’interno del gruppo di autori responsabili della rinascita contemporanea del genere horror. Cresciuto a pane e Texas Chainsaw Massacre, il regista mette in pratica la sua cinefilia confezionando, meglio di chiunque altro, un cinema “sporco” e disperato, diretto discendente, nello stile quanto nella forma, dei film horror americani degli anni Settanta ai quali siamo tutti visceralmente affezionati. La casa dei 1000 corpi (il vero remake non ufficiale di Non aprite quella porta) è un film riuscito e divertente ma a tratti imperfetto, in cui si respira un’aria di dejà vu e nel quale Zombie inserisce tutto ciò che un fan dell’orrore vorrebbe vedere sullo schermo, ottenendo però, a tratti, una saturazione visiva che ne diminuisce l’impatto emotivo, soprattutto sullo spettatore più smaliziato. Con The Devil’s Rejects il regista americano dimostra di essere maturato parecchio dal suo esordio, asciugando la pellicola di qualsiasi sovrastruttura fantastica (quegli elementi soprannaturali barocchi e “baracconeschi” che appesantivano troppo il film precedente) e mettendo in scena un “Horror-Western” (sono parole sue) violentissimo e teso all’inverosimile e che trova il suo punto di forza nella eccellente caratterizzazione dei suoi magnifici personaggi. Zombie si tiene alla larga dal manicheismo di maniera, conferendo ai suoi characters uno spessore a tutto tondo che non consente allo spettatore nessuna classificazione: non esistono cattivi da odiare e buoni con i quali identificarsi; i confini sono labili ed è questo che ci fa davvero paura.
La storia della famiglia Firefly prosegue pressappoco da dove si era interrotto il film precedente: si comincia con la polizia che assedia la casa dei maniaci “responsabili di 75 omicidi” e a guidare le operazioni troviamo lo sceriffo Wydell (fratello dell’ufficiale ucciso nel primo film) assetato di vendetta. La signora Firefly (interpretata non più dalla mitica Karen Black ma dalla bravissima Leslie Easterbrook) viene catturata incolume mentre Otis (Bill Mosley) e Baby (la bellissima Sheri Moon Zombie) riescono miracolosamente a scappare. Da qui in avanti la storia si trasforma in un road movie nel quale lo sceriffo Wydell (un ottimo William Forsythe) insegue i fuggiaschi lungo le strade di un’assolata America di provincia che Zombie riempie di inquietanti Southern Good Old Boys che sembrano uscito dai racconti di Joe Lansdale. E ad accompagnare le loro sanguinose scorribande troviamo una colonna sonora Western da urlo (tra gli altri: The Allman Brothers, Terry Reid e Lynyrd Skynyrd con la stupenda “Free Bird”) mentre lo stile utilizzato dal regista (primi piani, segmenti sgranati, camera a mano e campi lunghi) paga la discendenza Western con omaggi diretti a Sergio Leone e Sam Peckinpah (occhio alla sequenza dell’assedio!). Tra i personaggi di contorno spiccano vecchie conoscenze del mondo horror Settantesco: Ken Foree (Zombi), Michael Berryman (Le colline hanno gli occhi) e J.P.Soles (Halloween). Sid Haig nel ruolo di Capitan Spaulding è straordinario e funge da veicolo principale per diffondere nella pellicola quel delizioso humor nero che caratterizza tutti i villains più affascinanti. E parlando di Villains carismatici non si può non notare come The Devil’s Rejects (pur conservando nella famiglia di Non aprite quella porta e quindi nella figura di Ed Gein, una solida ispirazione) sia modellato sulla Manson Family, ovvero la famiglia deviata per eccellenza che, sul finire degli anni 60, svegliò bruscamente i cittadini statunitensi dalla chimera del Sogno Americano. Seguendo le gesta dei Firefly viene spontaneo identificare Capitain Spauldin in Charles Manson (il Deus ex Machina), Otis in Tex (“Sono il Diavolo e sono qui per fare il lavoro del Diavolo!”) e Baby nella cattivissima Sadie. Il film è pieno di indizi che conducono su questa strada: il bordello gestito da Ken Foree si chiama “Charlie’s”, sul luogo di un omicidio vengono trovate scritte sul muro fatte con il sangue delle vittime (come nella villa di Polanski e in casa La Bianca) e tutto questo mentre i Media definiscono il caso come “Il crimine più violento nella storia” (ricordate il titolo del settimanale “Life” con Manson in copertina?). Non solo cinema, quindi, ma anche un pezzo di storia americana.
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